Allenamento, trance e karate.

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Allenamento, trance e karate.

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Allenamento, trance e karate.
di Alessandro Haag
 – Allievo presso lo Shinseikai Karate Honbu Dojo di Roma

In questo periodo riflettevo sullo stato particolare che proviamo mentre ci alleniamo, quando siamo vicini al limite dello sfinimento, della stanchezza più forte.
Nella pallacanestro, quando un giocatore non sbaglia più un tiro si è soliti dire che è “andato in trance”: lo stato di trance è un stato psicofisiologico che può essere normalmente indotto mediante tecniche
di ipnosi o di autoipnosi.
Gli effetti della trance sono sintomatici o comportamentali: i caratteristici atteggiamenti che assume una persona in trance sono nel gergo neuropsichiatrico chiamati “aquiescenza acritica”. Cosa vuol dire?
Nella pratica, si perde il contatto con la realtà e si fanno azioni in modo più o meno incosapevole, atti dei
quali normalmente si è incapaci e che risultano essere anche un rischio più o meno grave per se stessi, ma senza provare emozione alcuna.
Addirittura, alcune volte ci si dimentica anche che tipo di azione si è appena fatto.
Ma perchè sto parlando di trance?
Perchè ritengo che, come nella pallacanestro, anche nel karate (e in particolare nelle forme di fighting karate) si cade in uno stato simile alla trance e questo può avvenire sia nell’allenamento che nel combattimento, nel momento in cui decidiamo con la nostra volontà di superare il limite del nostro corpo.
Durante ogni allenamento prima o poi ci si deve confrontare con quel momento ben particolare, che tutti noi conosciamo, nel quale il proprio corpo arriva al cosiddetto “limite”: lo spirito del karate agisce proprio in quel momento, dicendoci che bisogno andare avanti, che non c’è un limite reale ma solo un limite di “convenienza” posto dal nostro corpo e accettato dalla nostra mente.
Possiamo superarlo, dobbiamo superarlo! E allora… OSU! Lo spirito vince e il corpo supera quello stato ed è allora che arriva la trance: pensate forse di non sentire realmente più la fatica o il dolore?
Di non stare più sudando e sforzando i vostri muscoli?
Il dolore e la fatica sono reali, sono su di voi, nei muscoli, nei tendini e nelle ossa, ma allo stesso tempo non ci sono più, sono fuori dalla vostra mente, vi siete come separati dalla corpo, guardate il tutto in terza persona.
Ecco il superamento del limite, ecco il comportamento di “aquiescenza acritica”: ecco la trance!
E la stessa cosa avviene nel combattimento, non sempre e non per tutti, ma spesso ci si trova a reagire con velocità estrema, maggiore
di quella che abbiamo in allenamento, a muoversi con precisione incredibile, ben superiore a quella provata nello sparring: adrenalina?
Sì, certo, è l’adrenalina che scorre nel nostro corpo e tutta la chimica che ne segue, ma lo stato è anche mentale, è trance: ci guardiamo in terza persona, il corpo segue movimenti che normalmente non sarebbe in grado di fare, lo spirito lo manovra come un burattino durante uno spettacolo.
Il maestro Kenji Tokitsu nel suo libro “Storia del Karate” (edito da Luni Editrice) parla chiaramente dello stato di “trance”, quando la ripetizione di semplici gesti fino allo sfinimento permette di limitare gli effetti della coscienza e causare una particolare sensibilità alla presenza altrui: certo lui ne
parlava per la toate, la tecnica a distanza, ma penso che il discorso si possa estendere e far divenire molto più pratico ed esteso, come piace a chi pratica il fighting karate.
In ogni allenamento si può quindi cadere in questo tipo di trance, superando il proprio limite, forse ponendone un altro per la prossima sessione e sicuramente trasformando un buon allenamento in uno ottimo.

La meditazione sulla certezza della morte deve essere praticata tutti
i giorni. Ogni mattina in profondo raccoglimento del corpo e della
mente, devi immaginarti di venire fatto a pezzi da frecce, fucilate,
lance e spade, oppure di venire travolto dalle onde, di trovarti in
mezzo a un vasto incendio, di venire colpito da un fulmine, di venire
scosso da un grande terremoto, di cadere in un profondo precipizio, di
morire di malattia e infine di dover fare harakiri per la morte del
tuo signore. Ogni mattina, senza alcuna negligenza, devi considerarti
come morto.

(Tsunetomo, Y., Hagakure – Il Codice Segreto dei Samurai,Einaudi, Torino, 2001, cit. p. 184)

Alessandro Haag

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