Il Budo nel mio Cammino – di Tullio Vitanza

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Il Budo nel mio Cammino – di Tullio Vitanza

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di Tullio Vitanza
Prefazione Nel 2010 sono stato un mese in Giappone per allenarmi lì dove il
Karate è nato. Ho avuto modo di conoscere maestri di varie scuole e discipline
differenti, ma soprattutto di conoscere il nostro Kancho (si pronuncia cancio, e
vuol dire presidente), Minoru Tanaka.
Kancho Tanaka mi parlava molto spesso di Budo; all’epoca sapevo a grandi linee chi era Mas Oyama (il creatore del
karate a pieno contatto) e l’albero genealogico della nostra scuola (di karate),
e pensavo di sapere molto. Questo riporre grande ducia nel Budo mi lasciava
molto perplesso, perchè fino ad allora lo avevo considerato un aspetto non di
primaria importanza. In questo articolo cercherò di esporre in termini chiari a
tutti quella che è la mia esperienza con il Budo. Intraprenderò questo percorso
prendendo spunto dalle domande più comuni che mi vengono rivolte dai miei
amici e conoscenti che non praticano arti marziali, che mi permetteranno poi
di concludere parlando apertamente di Budo, un concetto così complicato e
misterioso, anche e soprattutto per me.
Nella mia vita non ho praticato altre arti marziali all’infuori dello Shinseikai Karate perciò, ogni volta che parlerò di Karate, intenderò parlare di Shinseikai
e di tutti gli stili di Karate, rigorosamente però, a pieno contatto. Non me ne
abbiano i praticanti di karate tradizionale, ma non posso parlare di cose che non
conosco.
Bushido Spesso, parlando con la gente, sento dire che il karate è uno sport
violento. C’è questa opinione diffusa. Qualche anno fa sono stato per un mese
in Giappone. Grazie al sensei, Filippo Calà, ho avuto modo di conoscere vari
maestri, ma soprattutto il nostro presidente, che noi chiamiamo kancho, Minoru Tanaka. Sul treno per Nantan City mi parlava spesso di Budo. All’epoca ero
appena diventato cintura nera, avevo studiato in linea generale la storia del
karate, sapevo più o meno che Budo signica via del guerriero, ma capivo che ciò
che stava cercando di trasmettermi Tanaka kancho era qualcosa di più profondo.
Così queste conversazioni mi hanno dato modo di pensare molto, in questi anni
passati dal nostro ultimo incontro. Bu vuol dire guerriero e Do via. Karate e Budo sono la stessa cosa, però anche Judo e Budo sono la stessa cosa, e così
ogni arte marziale giapponese è pervasa da questa filosofia che si chiama Budo.
La Missione La gente che non frequenta l’ambiente marziale, in generale dice: “fate karate, vi tirate calci e pugni, ergo vi fate male“.
Non starò a dilungarmi su stupidaggini come il fatto che i combattimenti sono fatti in assoluta sicurezza,
sulle protezioni e sulle statistiche che affermano che si subiscono meno infortuni
praticando le arti marziali che praticando molti altri sport; mi rendo conto
benissimo che se uno ha paura di combattere, l’unica cosa a cui pensa è che se
combatti, hai uno di fronte che ti vuole fare del male, ossia che il karate è inutile
violenza; cioè secondo molte persone puoi benissimo imparare le tecniche senza
per forza doverle mettere in pratica in combattimento. Ed è qui che entra in
gioco il Do, ossia la strada. In Italia, sensei Calà ci ha sempre insegnato che le
tecniche che si imparano nel dojo, il luogo dove si impara l’arte marziale, che si
chiama dojo e non palestra proprio per sottolineare il fatto che l’allenamento che
avviene nel dojo trascende il semplice allenamento fatto per stare in forma, non
vanno mai utilizzate al di fuori di un contesto marziale. In Giappone in una
palestra, dove sono stato, si faceva addirittura mettere questa direttiva sotto
contratto; se volevi allenarti lì, dovevi dichiarare e firmare che mai e poi mai
avresti usato violenza con nessuno. In caso contrario saresti stato immediatamente
espulso e mai più riammesso. Cioè il karate è un’arte marziale creata e
pensata per persone rispettabili, serie e oneste.

Lo Spirito
Ma cosa può spingere mai una persona rispettabile, seria e onesta
a perdere tempo appresso ad uno sport così violento? Sembrerebbe quasi che gli
sport da combattimento siano stati pensati per i delinquenti e i prepotenti e in
effetti la mia esperienza personale, e quella sicuramente di molti altri conferma
che tra i violenti ci sono spesso persone che praticano arti marziali e, d’altro
canto, è normale pensare che un rissoso sia più attratto da uno sport marziale
che un individuo pacico (sia ben chiaro che ovviamente tale aermazione non
si riferisce a nessuno dei miei compagni di dojo). Ciò è confermato anche da
alcuni libri che ho letto di vari maestri. Quindi io capisco perchè molte persone
pensano che le palestre dove si impara a combattere non siano proprio posti
raccomandabili. Del resto il ragionamento che ne sta alla base è immediato
anche se semplicistico: così come uno va a scuola calcio per imparare a giocare
a pallone, uno che va ad imparare a combattere dove utilizza le tecniche che
impara in palestra? Molti rispondono per strada, facendo il bulletto. Ed è per
questo che è così importante la figura del maestro, o sensei. Il maestro, o sensei,
non ti insegna a tirare calci e pugni, ma ti insegna a combattere nel senso più
pieno del termine; non è un insegnante ma il rappresentante di una cultura,
un rappresentante così importante da farsi carico di tutte le responsabilità che
derivano dall’insegnamento di una disciplina così, potenzialmente, pericoloso.
Ma soprattutto vorrei sottolineare il fatto che il maestro è il rappresentante di una
cultura esattamente alla stregua di un professore o un dirigente. E questo perchè
il karate è una cultura, la cultura del budo, la filosofia dello spirito (del Karate).
Ci sono maestri che hanno capito questo aspetto, e questi sono dei bravi maestri,
e maestri che questo concetto non l’hanno capito, e queste persone, potranno
essere lottatori professionisti eccellenti, grandissimi sportivi, ma non possono
essere chiamati maestri. I sensei insegnano nel dojo, e dal dojo non uscirà mai
una persona violenta. Dal dojo escono solo persone oneste e rispettabili; cioè i
delinquenti e gli attaccabrighe nel dojo vivono esperienze tali che cambieranno
per sempre il loro modo di pensare. Penso con questo punto di aver chiarito
che chi si allena con un buon maestro, anche nella vita di tutti i giorni sarà una
brava persona.

La Storia
Forse il perchè e il come avviene questo cambiamento sono i punti
più importanti dell’intero discorso. Il Budo è la filosofia di vita dei samurai. I
samurai, storicamente, sono i guerrieri dello shogun, o signore feudale. Spiego
questo concetto a grandi linee, non voglio fare un approfondimento storico. I
samurai avevano lo scopo di combattere in guerra e di curare i rapporti tra lo
shogun e la popolazione. Tali guerrieri si sottoponevano a strenui allenamenti.
È chiaro che, se lo shogun si serviva di tali persone per emanare le sue direttive,
il rischio che tra la popolazione si diffondesse il terrore era veramente concreto.
Tuttavia mantenere buoni rapporti con il popolo è sempre stato di fondamentale
importanza per i governanti, e così lo era anche per shogun e samurai. Il Budo,
storicamente, era l’arte che insegnava ai samurai a creare rapporti di reciproco
rispetto e mutua assistenza con la gente. In altre parole, il budo non esiste senza
rapporto con la gente comune; il budo trova espressione e applicazione proprio
con coloro che non sono samurai o non praticano arti marziali. La cortesia, il rispetto, l’educazione e la considerazione che un samurai mostrava verso un altro
samurai erano gli stessi che mostrava per rapportarsi con la popolazione. Da
potenziale aguzzino diventava amico, referente, educatore. E il sensei è l’erede
spirituale del samurai e ne ricopre il ruolo di rappresentante di una cultura, la
cultura del Budo.

Il Ruolo
Ma allora come mai esistono attaccabrighe che vengono dalle fila del karate o addirittura ci sono maestri che sono essi stessi dei attaccabrighe?
Sarebbe troppo semplicistico dire che i teppisti escono solo dalle palestre dove insegnano pessimi maestri, e che i maestri che si comportano male non meritano nemmeno di essere considerati tali.
Molto spesso sento dire, da molti maestri, che gli sport da combattimento tolgono i ragazzi dalla strada e aiutano a combattere il problema della criminalità. Questa affermazione è vera, e, in buona parte, concordo con essa, ma non penso che sport da combattimento e arti marziali siano la soluzione del problema della criminalità.
Ciò che porta una persona a delinquere è una serie di concause; praticare sport da combattimento può essere una controtendenza, ma da sola non basterà a risolvere il problema.
Il karate non risolverà il problema della violenza nel mondo. Guardare
la questione in termini di statistica non ci aiuterà a capire il perchè delle arti
marziali, la necessità del karate, il perchè del Budo. Il karate pratica la via
del budo, questo signica che chi pratica la via del Budo segue un percorso di
vita che è un percorso di crescita personale. Da un punto di vista immediato,
il karate nasce per difesa personale, per permettere, anche a chi non possiede
un’arma, di difendersi; ma anticamente in Giappone, prima che si diffondessero
le arti marziali, l’arte del combattimento era una prerogativa esclusiva dei nobili
e della casta dei samurai. Alcuni di questi samurai, poi, decisero di insegnarla
anche al popolo. Ecco perchè Budo e Karate sono inscindibili. Tornando alla
nostra domanda, il karate non toglie la gente dalla strada nè è una soluzione al
problema della criminalità semplicemente perchè non è questo lo scopo per cui
è nato. Tuttavia, dato che lo spirito del Karate è in netto contrasto con quello
criminale, può essere un forte aiuto a contrastare il fenomeno della criminalità.
Ma, ci tengo a ribadire, si sta parlando di aiuto, e non di soluzione. Per contrastare
la criminalità ci sono le forze dell’ordine, per la creazione di una societa’
pacifica e senza criminalità c’è la cultura; e questo lo scrivo perchè penso sia
necessario fare luce sulla questione.

Karate
Nel Karate la vita di un individuo viene rappresentata come un percorso
di crescita totalizzante. Ora chiarisco meglio questo punto. Spesso la
vita viene pensata come un insieme di compartimenti separati, chiusi a tenuta stagna, cioè tutto viene visto come se un’unica persona, nel suo processo
di crescita, seguisse varie strade contemporaneamente; in altre parole, uno può
essere un ottimo padre e un pessimo lavoratore, oppure un ottimo lavoratore e
contemporaneamente un asociale; ossia viene concepito come normale il fatto
che qualcuno possa eccellere in un campo della sua vita trascurando gli altri.
Nel certicato di Shodan (esame di I dan, cintura nera) c’è scritto, in conclusione,
che : – lo scopo del Karate è quello di creare persone di valore – ti esortiamo
a continuare il tuo percorso di crescita e a coltivare lo spirito dell Shinseikai come artista marziale e come essere umano
Il Karate può aiutarci a vincere sulle nostre abitudini negative e aiutarci a condurre
uno stile di vita sano e che ci dia gli strumenti per vivere bene, e a saperci
relazionare con il prossimo, chiunque esso sia. Ossia il Karate ci aiuta a temprare
lo spirito, a creare un carattere forte. Il Karate è violento? La risposta
qui è più variopinta. Ogni karateka rappresenta la scuola presso cui si allena,
pertanto ci sono scuole buone e scuole meno buone; ma se una scuola è buona,
io ci metto la mano sul fuoco che tutti i praticanti di quella scuola, anche se
si allenano presso maestri differenti, saranno persone affidabili. Perciò, in linea
di principio, no, il karate non c’entra niente con la violenza, anzi ti insegna a
conoscerla, a prenderci confidenza e a utilizzarla come uno strumento di crescita
spirituale. In altre parole ti insegna a gestirla, e la violenza marziale non si usa
mai per fare del male a qualcuno. Soprattutto ci tengo a precisare che saper
usare la violenza signica prima di tutto sapere come evitare di adoperarla. Nel
Karate, soprattutto in quello a pieno contatto, si usano le protezioni, per una
massima tutela dell’incolumità dell’atleta. Tuttavia però chi vuole intraprendere
questo percorso deve mettere in conto che, volente o nolente, un minimo di
confidenza con il dolore la deve prendere. Per dolore si intende sia quello dovuto
ai colpi ricevuti che a quello provocato da un esercizio intenso. Perchè è proprio
attraverso la sopportazione del dolore che si ottiene il massimo del risultato. La
sfida che il Karate ti pone è proprio questa: sei in grado di rimanere lucido e
concentrato anche in situazioni di estremo disagio? Il Karate, sì, per me è una
disciplina per tutti, mi ha dato tanto e ha dato ha dato tanto a molte persone che
sono venute al dojo, che tuttora vengono , di cui ho testimoniato,
in positivo, i cambiamenti, sia marziali che caratteriali, ma soprattutto, direi,
caratteriali.
Spesso si dice che l’unica cosa immutabile sia il cambiamento. Una volta capito
questo, sta a noi decidere che direzione dare al nostro cambiamento. Il
Karate è un prezioso strumento al nostro servizio. Rimanere saldi nella nostra
determinazione nonostante le dicoltà che la vita ci pone, tutto questo è
Karate.

Budo
Ma come si svolge, praticamente, una sessione di allenamenti al dojo?
OSU! È la filosofia dello spirito. Quando si entra al dojo non si dice buongiorno
o Buonasera, ma OSU!. OSU! signica – sono pronto – e – darò il meglio
di me – e rappresenta lo spirito che devi avere appena entri nel dojo. Tutti i
problemi, pensieri, preoccupazioni… entri nel dojo, dici OSU! e restano fuori.
In palestra nessuno ti giusticherà o ti accudirà come una mamma amorevole;
piagnistei, lamentele, insoerenze e altri atteggiamenti da persona viziata non
saranno tollerati. Pertanto quando si dice  OSU!  bisogna essere convinti e
decisi. Al dojo i ritmi di lavoro sono molto elevati, le pause sono ridotte
al minimo, e si parla molto poco, e solo per questioni inerenti l’allenamento,
pertanto anche in questi casi non si dice ok oppure sì, ho capito, ma OSU!.
Sensei ni rei! è il saluto al maestro. Per quanto nella vita di tutti i giorni siamo
abituati a contestare tutto e tutti, nel dojo la nostra vena polemica si spegne,
e ci si affida al maestro. Se, ogni volta che il maestro parla, lo si contraddice,
alla fine dell’allenamento si sarà parlato molto e fatto poco. Affidarsi al maestro
non signica spegnere la propria capacità di discernimento o critica, che quella è
sempre costruttiva e utile, ma ottimizzare il tempo che si passa al dojo. Se ti fidi
del maestro, lavori tanto e bene e fai progressi più velocemente. Se non ti fidi,
e lo contesti inutilmente, o lavori con sufficienza, perdi solo tempo e fai perdere
tempo anche ai tuoi compagni, che è anche peggio, oltre che triste. Tuttavia
questa responsabilità non viene relegata alla coscienza del singolo. L’educazione
si impara a suon di flessioni; se uno sbaglia, fanno flessioni tutti quanti, e così
via fino a quando l’atteggiamento sbagliato non viene corretto. In genere, basta
la prima sessione di flessioni affinchè il difetto si corregga automaticamente.
Hotakaini rei! è il saluto fra tutti i compagni del dojo. Questo signica che
ogni praticante ha a cuore lo sviluppo e la crescita dei suoi compagni. Quando
vede che uno sbaglia perchè non esegue bene una tecnica, non sta zitto e fa
finta di niente, ma gli dà consigli pratici per migliorare la sua tecnica. Nel
dojo non c’è chi va avanti e chi rimane indietro, ma si cresce tutti insieme, in
armonia e amicizia. Il Budo è questo, determinazione, gratitudine per il maestro
e i compagni di allenamento, voglia di crescere e star bene con tutti. È come
un’acqua che viene usata per innaffiare: viene versata sulle radici, ma gli effetti
si vedono su tutta la pianta, sulle radici stesse che diventano più ramicate,
sul fusto, che diventa più resistente, e sulle foglie, che diventano più rigogliose;
così il Budo si apprende in palestra, ma trova applicazione pratica nel modo di
affrontare i problemi nella vita di tutti i giorni.

Con rispetto
Tullio Vitanza
OSU!

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